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Storia del complesso

L’Accademia di Belle Arti nasce inizialmente come monastero; Convento di S. Giovanni Battista, fatto costruire nel 1593 quando Francesco di Balzo, nobile di Capua, ottenne l’autorizzazione a istituire un monastero di domenicane per avviare la figlia alla vita monastica. Si deve a Francesco Antonio Picchiati tra il 1673-1684 il progetto e la direzione del delicato intervento di riadattamento di un precedente convento posto su Santa Maria di Costantinopoli, dove una comunità di suore si era insediata nel 1598. L’acquisto da parte delle monache, di alcuni immobili limitrofi al convento, consente all’architetto di ottenere un maggiore spazio per ampliare il complesso monastico e ricostruire la chiesa annessa al complesso.

Nel 1864 il monastero fu chiuso e intorno alla metà del XIX sec. L’intero assetto urbanistico della zona era profondamente cambiato. Scomparsa nel 1853 la porta di Santa Maria di Costantinopoli, eliminate le fosse del grano e sostituite dalla via Pessina, anche l’area del convento fu investita da queste trasformazioni. Nel 1864 il monastero di San Giovanni Battista delle monache fu assegnato alla congrega dei professori di belle arti.

Nei decenni successivi è infatti documentata una lunga controversia tra la congregazione dei professori di belle arti ed il comune di Napoli, responsabile dell’apertura della via di conte di Ruvo e della sistemazione urbanistica adiacente la chiesa.

Il bastone del vasto, d’altra parte, fu demolito e sull’area fu edificato il Teatro Bellini, inaugurato solennemente nel 1878. L’apertura di via Conte di Ruvo (1864) richiese il distacco della chiesa dal monastero, così destinato a diventare la sede dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, su progetto di Errico Alvino (1867) e voluta soprattutto per volontà di Carlo III. Fu ideata con finalità artistiche e culturali elevate e se nel suo esordire queste furono realizzate solo in misura limitata, la sua attività non rimase mai nel piano ristretto all’elementare educazione disegnativa degli allievi dei reali laboratori, ma fu diretta anche la formazione di allievi pittori, scultori e dilettanti d’arte di tutto il reame.

Nell’intenzione del re, essa doveva avere l’importanza e il decoro di altre che andavano sorgendo, in quel secolo di trionfo dell’accademismo, nei vari centri di tutta Europa.

L’intervento di Alvino si inserisce in un più ambizioso e ampio processo di rianimazione urbana del quartiere museo, oggetto di diverse proposte nella demolizione per l’apertura di via Conte di Ruvo e nella sistemazione di via Bellini.

Il nuovo aspetto dell’edificio, completamente isolato, oltre all’adeguamento alla nuova funzione rappresentativa, determina la necessità di nuove facciate esterne su tutti i lati della fabbrica, risolte con un parametro in pietra lasciata a vista, interrotto da ampie aperture ad arco vetrate, ritenute dalla critica uno degli aspetti di maggiore interesse dell’ammodernamento di Alvino.

Scomparso Alvino nel 1876, l’opera verrà completata da Giuseppe Pisanti e Pasquale Maria Veneri, allievi del maestro.

Ad Achille Catalano invece, va riferito lo scalone monumentale ultimato nel 1884 e la cui costruzione è stata collegata all’ipotizzato uso dell’edificio come sede provvisoria del palazzo di Giustizia.

L’accademia di belle arti di Napoli nasce con il preciso intento di educare i giovani aspiranti artisti. E’ considerato, ancora oggi, dalla storiografia come uno dei capolavori della produzione architettonica napoletana del secondo ‘800.

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